ESERCIZI DI IMMORTALITÀ

Silloge poetica edita da Progetto Cultura nel 2013.

Ha vinto il I premio al Trofeo Monterosi d'Argento, I edizione 2016.

Alcune poesie contenute all'interno sono state precedentemente pubblicate su antologie e riviste e hanno ottenuto premi e segnalazioni in diversi concorsi letterari tra cui: Premio Casentino 1995; Alberoandronico 2008 e 2009, Mangiaparole 2012.

Alcune sono state tradotte e pubblicate in slovacco in occasione del Festival Ars Poetica, tenutosi a Bratislava nel 2013.

La prefazione è di Francesco De Girolamo.

 

ESERCIZI DI IMMORTALITÀ

 

Spira serena l’aria dell’ovest

Nei teneri giardini levigati

Quando i salici piangono ombra,

Orto concluso di intatta armonia.

 

Non efficienti tramestii

Non catodiche bocche

Non informatiche sciabiche onnivore

No global no news!

 

Al suono molle di tetracordi lidi

Sfogliamo le ore ascoltando

I rossi palpiti della sera

La lacrima d’un verso trascorso

Il sussurro d’un arcaico pensiero

Solo il foriero stridio del cielo

L’incessa diastole d’eterno Sfero.

 

 

 

 

 

Al Festival Ars Poetica, Bratislava 18 ottobre 2013


Prefazione al testo di Francesco De Girolamo   

 

La tradizione poetica in cui si inserisce quest’opera di Marco Belocchi non è facile da rintracciare: l’ambizioso intento di decifrare l’enigma dell’esistenza, di cercare di mirare, attraverso il proprio ardito percorso in versi, ad una vittoria in effige sulla morte, attraverso, ora un visionarietà panica, ora una larvata dialettica meta-concettuale, non è mai stato peculiare della poesia italiana contemporanea, in particolare di quest’ultimo decennio.  

Belocchi ci offre questa testimonianza, di un’urgenza  per lui intima e profonda, con una scrittura asciutta e raffinata, rigorosa e duttile ad un tempo, alta e lieve nel dettato e nel lessico, senza mai inturgidire la sua raccolta di una sostanza “filosofica”, di una metafisica troppo astratta, ma sa tenersi sempre ancorato ad una concretezza pudica, ad uno sguardo vigile e acuto; tuttavia ancora integro e “vergine”, non esente da una misurata ironia, a tratti, e da un vitalismo cosmico, mai di maniera, che riflette una volontà, strenua e felicemente perseguita, di attenersi sempre ad un ambito saldo e conchiuso d’osservatorio globale, “orizzontale”, o al più, “obliquo”, nella sua naturale  tendenza alla  “verticalità”, dedicato alle vicende più nitidamente creaturali che proiettivamente cosmiche.

 Nel suo libro, l’Autore riesce a far sì che la forma, la sua cifra stilistica, sia in assoluta sintonia con la portata del contenuto  “morale” dei versi. Questo potrebbe sembrare un argomento superato dalle più recenti concezioni epistemologiche della nostra critica, soprattutto nell’ambito della scrittura poetica; ma io credo che la parola “morale”, svalutata dal vago tecnicismo di tante pseudo-poetiche strutturaliste, richieda un recupero di  più attenta e aperta considerazione.

 Personalmente, io penso, oggi più che mai, che, come sosteneva Thomas Hardy, nella poesia : “La morale e l’estetica siano raramente, se non mai, cose separate” e che proprio la poesia possa arrischiarsi ad individuare un percorso effettivo tra il reale e l’ideale.

 Anche se nella poesia di Marco Belocchi si avverte chiara l’eco dell’antica Scuola Filosofica Greca, del suo relativismo, quasi assoluto, di fronte al problema del logos, del rapporto cosa-parola e parola-nome, tuttavia vi è in essa un superamento, io credo, di un pletorico eclettismo filosofico, grazie ad un’ansia ontologica inderogabile, tesa verso una parola dotata di una sua vivificante sussistenza, verso una sua ardua prossimità alla casa dell’Essere, dimora” Heideggeriana” di un nuovo Essere, percepito come Nulla-luce e Tutto-avvolgente. 

 Un libro di vera poesia, insomma, questo di Belocchi,  utile, “necessaria”, personale, mai prevedibile, mai “epigonica”, come testimoniano questi bellissimi, esemplari versi, tratti dalla poesia  “L’ora blu”:

 

Qui tutto si trasfigura

ed ombre e sogni e desideri e incanti

vagano liberi di essere amanti

di tutto quello che offre natura,

impercettibile il tramestio

che quell’attimo affolla

celere su ali di vento

rovescia il reale

verso lidi incorrotti

o come spuma s’infrange

sull’arido greto dei mortali.

 

Recensione di Dante Maffia su Lapresenzadierato.com del 24/11/2015

 

Marco Belocchi è personalità poliedrica con alle spalle varie esperienze. Ha pubblicato libri di narrativa, di teatro, di poesia con uno sguardo attento al mondo antico, cioè alle fonti della poesia, a quando la parola aveva un peso specifico e non si era intorbidita nella falsità dei “giochi consueti degli incontri e degli inviti fino a farne una stucchevole estranea”, come ha scritto Costantino Kavafis.

E che i suoi riferimenti siano situati nella filosofia e nella poesia greca antica è dichiarato esplicitamente dalle quattro sezioni del volume rispettivamente intitolate “Logos”, “Eros”, “Mythos” e “Thanatos”, oltre che dalle citazioni di Plotino, di Esiodo, di Pindaro, di  Pseudo-Pitagora e di Empedocle.

La bella e dotta Introduzione di Francesco De Girolamo ci accompagna tra le pagine del libro che si muove dentro una circolarità culturale larga e profonda davvero alla ricerca dell’immortalità.

È come se Marco Belocchi fosse costretto dagli Dei a individuare qual è la ragione per cui si trova dentro la vita, da qui gli “Esercizi di immortalità”, una sorta di assuefazione agli eventi che però non devono mai essere occasione fuggevole, ma approdi  di una consapevolezza che il poeta vorrebbe spandere anche sulla donna amata e sugli archetipi che incombono e che dovrebbero essere miti e disponibili per procedere insieme nel cammino della vita.

De Girolamo parla di contenuto “morale” e forse ha ragione, perché ognuna di questa poesie è tesa a raggiungere la verità e non per supposizioni o vaghe intuizioni, ma per sentieri veri e ricchi di doviziose occasioni umane e ideali.

“Ciondolavo su una strada lastricata di libri” mi ha fatto pensare a Jorge Luis Borges, alla sua ossessione per i libri, a una biblioteca che invade strade, spiazzi, case, parchi, campi sportivi e imponga a ognuno di entrare nella sonorità di un rapporto che non sia soltanto di convenienza e di occasionalità, ma di partecipazione e di ingerenza.

Sarebbe molto interessante confrontarci con ognuna delle composizioni per renderci conto che siamo dinanzi a un testo ricchissimo non solo di echi, ma soprattutto di progetti che tendono alla rivelazione di se stessi: “Voci lontane a me presenti, a voi / più volentieri parlo, alla sbiadita / pagina che l’eterno mi racconta”; “… là sul veliero / sulle onde del tempo rapide e snelle / ci inoltrammo lontano, / secoli dopo, nella vita laggiù”.

Il linguaggio adoperato da Marco Belocchi ha la capacità di saper cogliere sostanza e sfumature di processi dello spirito che macerano dentro la psiche umana dando apertura a una poesia che vagamente potremmo definire esistenziale, non nel senso in cui i francesi la intendono, ma nel senso più semplice possibile, cioè poesia che cerca la luce negli eventi anche minimi. Si pensi a una poesia come L’incidente per comprendere appieno il senso delle mie parole: “L’incidente è un segno nero / sotto gli occhi, uno sciocco pensiero / che tradisce il torpore / la mano avventata che manca / la mira, la fortuna che gira / a casaccio mutando la vita. // L’incidente in fondo / è una speranza. Sì, la coincidenza / ardita che cambia vita. / Ché la morte non cambia/ nella scarpata. Schizzato di curva / per una frenata”.

Gli esempi potrebbero essere tanti. Dico semplicemente che Esercizi  di immortalità nasce da un’autentica vocazione e riesce a fermare momenti inusuali per avvertirci che la realtà muta incessantemente.

 

E molto merito di questi esiti tanto convincenti lo si deve al linguaggio adoperato e alla musicalità dei versi ottenuta con le sette note e, a volte, anche con l’ottava che Marco si inventa per aggiungere senso alle sue immagini e alle sue parole profonde e ricche di verità.

 


ER NONNO FEROVIERE

Silloge poetica in dialetto romanesco di mio nonno Roberto Belocchi (1898-1977) da me curata, edita da Enoteca Letteraria nel 2017.

La scelta comprende una cinquantina di poesia scelte dal lascito e scritte tra gli anni sessanta e settanta.

Il volume è corredato da foto, minute del manoscritto e alcune copie della rivista romanesca Rugantino che pubblicò alcune poesie di Roberto.

Un ringraziamento particolare va a Gianni Salaris che ha rivisto il testo romanesco e a tutto il Centro Romanesco Trilussa per il sostegno.

Un ritratto

 

Si ve piace ecco qui er ritratto mio

visto dar lato fisico e morale,

speranno che me venga naturale

e a l’incirca come sò fatto io!

 

Un po’ basso ma gnente d’anormale

visto che in guera c’ero, poro fìo,

ma pe fortuna e la bontà de Dio

sò ritornato senza famme male!

 

L’occhio celeste-grigio è propio adatto,

un bon naso er capello biondo scuro!

Gnente grinta! Er pensiero un po’ distratto!

 

Ciò l’umorismo cor soriso pronto,

sò un emotivo e quindi nun sò duro

e da le fresche subbito me smonto!

 

 

Er viso de certo che nun rattrista

ma se sto male, fa vedé le pene!

La bocca è pronunciata e me sta bene;

le recchie se vedeno a prima vista!

 

Se leggo certi fatti o vedo scene

la fantasia spesso me conquista

e allora je do sotto a tutta pista

e me scoccio s’er verso nun me viene!

 

Sò timidello e quindi poco audace,

specie adesso che vado pe l’ottanta,

per cui me piace vive in carma e pace!

 

Ripenso volentieri ar tempo annato

ch’er futuro de certo nun m’incanta

cor monno così brutto e inguaiato!

 

 

Nun so’ musone o sarvognuno altero

e nemmanco me sfreno in allegria

ma quarche vorta coro in fantasia

un po’ cor sogno o mejo cor pensiero!

 

Ho passato la vita in ferovia

quanno er treno spanneva er fumo nero;

e quer tempo lontano, e sò sincero,

lo ricordo ancora co simpatia!

 

Strimpello er mandolino come er piano

ma ciò coscenza de nun fà de l’arte

e cerco sempre de tenemme sano!

 

V’ho detto de me e come vivo ar monno;

tante cose l’ho messe da ‘na parte

perché er bagajo umano è senza fonno!

 

E adesso ve saluta a viso aperto

 

er cavajere vostro Don Roberto!

 

La mia prefazione al testo

 

La schiettezza del disincanto

 

È con una comprensibile partecipazione che mi accingo a pubblicare queste poesie che da quarant’anni giacevano, se non proprio dimenticate, quanto meno addormentate in una cartellina ingiallita sepolta nel mio archivio. L’occasione di riguardarle si presentò oltre un anno fa quando entrai in contatto col Centro Romanesco Trilussa, ed essendomi fatto sfuggire che mio nonno Roberto scriveva in dialetto, fui invitato a declamarne alcune. L’ottima accoglienza mi fece balenare l’idea che forse fosse giunto il momento, a quarant’anni dalla scomparsa del nonno, di pubblicare un volumetto, almeno con una scelta di esse.

Ho quindi ripreso in mano la cartellina e ho cominciato a leggerle una per una. La cartellina contiene, in un ordine abbastanza minuzioso, novantanove poesie numerate, tutte in romanesco, tranne tre o quattro scritte in italiano, catalogate secondo una disposizione non necessariamente cronologica (a parte quelle dell’ultimissimo periodo) e nemmeno tematico. Si alternano infatti, senza un’apparente sequenza precisa, favole di stampo trilussiano, che probabilmente risalivano ai primi anni sessanta - e che ricordo nonno Roberto mi recitava, quand’ero bambino, alla luce fioca della cucina di via Andrea Doria o nella cameretta, accanto alla nonna Alinda, che nel frattempo cuciva alla Singer nera modello 1930 - poesie ironiche, di costume, nostalgiche o addirittura di un mito assai poco “olimpico”. Hanno però, questi versi, uno statuto provvisorio, come se quella tra le mie mani fosse stata una copia lavoro: talune poesie scritte a mano altre a macchina, e quasi tutte recano cancellature, refusi, notarelle a margine, qualcuna si accompagna ad una copia con varianti; spesso riportano la data di composizione e la sigla. Era certamente addentrarsi nel laboratorio creativo di un poeta-artigiano, alle prese con le rime, il verso regolare che ancora oggi, chi scrive in romanesco, cerca di seguire; e poi la complessa ortografia dialettale, una serie di norme ormai antiquate che proprio in quegli anni la nuova generazione di poeti romaneschi aveva cominciato a scrollarsi di dosso.

Nella scelta che ne ho fatto, circa la metà di tutto il manoscritto, ho cercato di toccare ogni tematica, menzionando innanzitutto le composizioni apparse su Rugantino, riportando poi in nota la data di pubblicazione, e comunque quelle che ritenevo più compiute e significative, anche col sapore di un’epoca ormai lontana, quando la televisione muoveva i primi passi, rigorosamente in bianco e nero, e la vita sembrava scorrere facile dopo le ristrettezze della guerra, ma dove le contraddizioni cominciavano a venir fuori con le contestazioni del sessantotto, l’inquinamento, gli attentati. Tra queste però anche alcuni gustosi ritratti di costume sulla nuova moda della minigonna e delle prime rivendicazioni femministe, o anche solo il piacere, orgogliosamente romano, di cantare la città eterna, specie quella che andava nostalgicamente scomparendo, o ancora quella della sua mitica nascita. Né ho voluto tralasciare qualche scorcio del passato di ferroviere che con disincanto, tra un verso e l’altro, riaffiora nella memoria.

Un affresco gradevole, che forse non tocca le vette della musa, ma che ancora oggi strappa, anche al di fuori della stretta cerchia familiare alla quale questa antologia è ovviamente dedicata, qualche sorriso bonario, qualche arguzia faceta e perché no?, un po’ di commozione per una poesia sana, onesta, senza presunzione, redatta da un uomo schietto, scanzonato e perspicace - come il romano cercato invano da Diogene nell’omonima poesia - che ha vissuto e sofferto tutte le amarezze che l’Italia della prima metà del secolo scorso ha dolorosamente destinato ai suoi abitanti.

 

 


IL PROLOGO (PROGLAS)

Testo poetico di San Costantino il Filosofo (San Cirillo) che consiste in un lungo prologo ai vangeli, scritto in protoslavo nell'IX secolo e tradotto in italiano da Stanislav Vallo. 
Personalmente ho curato la versificazione italiana in endecasillabi.

Edito da Lithos nel 2013 con testo a fronte e pubblicato con il contributo di SLOLIA, Centro dell’informazione letteraria, Bratislava e del Consolato Onorario della Repubblica Slovacca a Forlì,  in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Slovacca in Italia e dell’Istituto Slovacco a Roma.

   Proglas

 

1.  Proglasъ jesmь svętu jevanьģelьju:

     Jako proroci prorekli sątъ prěžde,

     Christъ grędetъ sъbьratъ językъ,

     Světъ bo jestъ vьsemu miru semu.

5.  Se sъbystъ sę vъ sedmyi věkъ sь. 

    Rěšę bo oni:slěpii prozьrętъ,

    glusi slyšętъ slovo bukъvьnoje.

    Boga že ubo poznati dostoitъ.

    Togo že radi slyšite, Slověne, si:

10.  Darъ bo jestъ otъ Boga sь danъ,

    darъ božii jestъ desnyję čęsti,

    darъ dušamъ, nikoliže tьlěję,

    dušamъ těmъ, jęže i primątъ.

    Mathei, Mar(ъ)ko, Luka i Ioanъ

15.  učętъ vьsь narodъ glagoljąšte:

   Jeliko bo svoichъ dušь lěpotą

   viditъ, ljubite bo radovati sę,

   grěchovьną že tьmą otъgьnati

   i mira sego tьlją otьložiti

[...]

Il Prologo

 

Del Santo Vangelo il Prologo sono:

come predetto ci hanno i Profeti,

arriva Cristo ad unire le lingue,

essendo la luce del mondo intero.

Nel settimo millennio avvenne qui.

Perché hanno detto ch’i ciechi vedranno,

il Verbo scritto i sordi udiranno

perché bisogna conoscere Dio. 

Perciò sentite, sentite voi, Slavi:

prezioso dono da Dio ricevete,

parte giusta da Dio a voi donata,

che non mai perirà, all’ anime vostre 

ed a color che grati ne saranno.

Matteo, Marco con Luca e Giovanni

istruiscono i popoli dicendo: 

tutti che aver volete anime belle,

di gioia tutti voi desiderosi

l’oscurità di scacciar del peccato,

del mondo putrefatto sbarazzarsi

[...]